martedì 14 dicembre 2010

"Dissolvenze..."

Forse avrei dovuto intitolare questa raccolta di post (si, l'intenzione è quella di diverse 'puntate-post'; vedremo...) "Flussi di coscienza", prendendo a prestito la definizione dal prof. Jerome Liss. Ho deciso per "Dissolvenze" perchè non sarà un percorso 'in profondità' di un solo protagonista ma un procedere per brevi ma intensi momenti nelle riflessioni in solitudine di differenti soggetti, e questo mi fa pensare alle dissolvenze in linguaggio cinematografico.
Mi piacerebbe molto che altri, magari anche voi che leggete, lungo il percorso, potessero aggiungere le proprie personali dissolvenze.
Cominciamo..

QUADRO 1
"Mi domando fino a che punto e quanto sia possibile per chi non c'era condividere e comprendere, anche lontanamente, quella sensazione di panico o di ineluttabile impotenza che tuttora s'impadroniscono di me ogni qualvolta mi viene incontro un'immagine, un suono, un ricordo tangibile, di quegli anni trascorsi a Cotignola sul Senio, lungo la 'linea gotica', nei lontani (ma quanto lontani?) '43-'44. Non saprò mai raccontare il suono della sirena che preavvertiva un bombardamento. E' un fendente sistematosi in un angolo del mio cervello, che rifiuta di addormentarsi e che ogni volta si ripropone senza possibilità di mediazioni. (...) E' tutto troppo intatto e terribile. Nulla in me è stato rimosso, assimilato, ammorbidito o soffocato (cosi fosse!) da 'altro' o dal tempo."                                                             (tratto da Rituali della memoria di Lia de Martino)

Una donna, Lia de Martino, figlia del grande antropologo Ernesto de Martino, racconta in questo 'quadro' con un linguaggio concreto, addirittura cinematografico, le immagini e le emozioni ad esse indissolubilmente legate di un episodio vissuto in un passato ormai remoto della sua esistenza ma ancora drammaticamente presente.

L'immagine che mi viene alla mente leggendo le sue parole è la seguente: buio, sono solo...un rubinetto gocciola...plick...plick... in breve tempo questo suono diventa sempre più forte. Cerco di allontanare la mia attenzione ma non ci riesco. Il rumore della goccia...Plick....Plick...spinge sullo sfondo tutto il resto. Non c'è altro, solo questo rumore angosciante che ogni volta che sono da solo sembra risuonare in tutto il mio essere e scuoterlo fin nelle viscere...PLICK...PLICK...

Pensieri ripetitivi che, come le gocce d'acqua, in solitudine ci precipitano in uno stato d'angoscia, di impasse. Riprendendo le parole di Liss (Il Flusso di Coscienza nella Vita Quotidiana e l'Impasse, www.biosistemica.org) "spesso l'avvenimento scatenante dura un periodo molto breve (...) eppure la sua ripetizione nella memoria può assalirci tante volte ogni notte." E il ripetersi di questa esperienza, in solitudine, rende sempre più tenace la memoria dell'episodio e delle emozioni ad essa associate che spesso diventano insostenibili. E' come se ci trovassimo scaraventati in un mondo dove, come diceva lo psicanalista Ignacio Matte Blanco, "non ci sono mezze misure, dove ogni cosa è buona o cattiva al grado estremo." 

Desidero concludere questa prima dissolvenza con i versi di una poetessa italiana poco conosciuta, Antonia Pozzi, il cui titolo è
Solitudine.
"Ho le braccia dolenti e illanguidite
per un insulsa brama di avvinghiare
qualchecosa di vivo, che io senta
più piccolo di me. Vorrei rapire
d'un balzo e poi portarmi via, correndo,
un mio fardello, quando si fa sera;
avventarmi nel buio, per difenderlo,
come si lancia il mare sugli scogli;
lottar per lui, finchè mi rimanesse
un brivido di vita; poi cadere
nella più profonda notte, sulla strada,
sotto un tumido cielo inargentato
di luna e di betulle; ripiegarmi
su quella vita che mi stringo al petto - 
e addormentarla - e anch'io dormire, infine...
No: sono sola. Sola mi rannicchio
sopra il magro corpo. Non m'accorgo
che, invece di una fronte indolenzita, 
io sto baciando come una demente
la pelle tesa delle mie ginocchia."
(Milano, 4 giugno 1929)


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