giovedì 16 giugno 2011

Asian Film Festival: giro di boa..

Three: Going Home - di Peter Chan (Hong Kong)

Non sai mai quello che sta per succedere.. 
E' la sensazione che ho provato guardando questo thriller drammatico (anche se è difficile classificarlo). Ancora una volta Peter Chan si dimostra un cineasta versatile, raffinato, capace di pardoneggiare linguaggi cinematografici diversi (drammatico, epic movie, commedia, thriller..) e metriche differenti (lungometraggi e, come in questo caso, corto-mediometraggio), con competenza ed equilibrio. Equilibrio anche per l'abilità con la quale sceglie le tecniche di ripresa: velocizzazioni degli spazi, profondità di campo, messa a fuoco e sfocato.
Una riflessione a parte merita la fotografia. L'assenza assoluta di tonalità calde, la dominante scuro-verdastro, il controluce di alcune scene, valorizzano ulteriormente l'atmosfera di ansia e agoscia della narrazione. Anzi no. Un colore caldo c'è, l'unico. Il cappottino rosso della bambina-fantasma (e il ricordo va subito ad un altro capolavoro, Schindler's List, il cui unico colore era, anche in questo caso, il cappottino rosso di una bimba..). 
E non passa sicuramente inosservato il fatto che in questo film non c'è traccia di effetti speciali. Come direbbe il mio amico Salvo è stato girato "a mani nude"..!
Ho apprezzato molto anche la capacità del regista di spostare il punto di vista dello spettatore da quello dei personaggi adulti a quello del bambino. Posizione privilegiata questa da cui assistere alle scene che suscitano maggiore tensione e angoscia.

Dopo la visione di questo entusiasmante film (della durata di 61 minuti) la sensazione che ho provato è stata esattamente di equilibrio, di giusto tempo. Non un minuto in meno, non un minuto in più.

"La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana." (Alfred Hitchcock)

Esattamente cosi... posso garantirlo!

martedì 14 giugno 2011

Asian Film Festival: quasi una maratona!




All About love - di Ann Hui (Hong Kong)


Una commedia che diverte per l'originalità della storia e per la rottura degli schemi sessuali che, in modo ironico e sofisticato, questo film suggerisce. Altro aspetto che ho apprezzato di questa cineasta è la capacità di spostarsi nei vari punti di vista  (femminile, maschile - etero, gay) senza schierarsi completamente con alcuno di questi. Multiparziale l'avrebbe probabilmente definita il famoso psicoterapeuta Luigi Boscolo. Come multiparziale è stato lo sguardo della regista nei confronti dei modelli familiari nei quali i personaggi del film cercano di trovare una soluzione sostenibile per le loro relazioni.


Un film che più che proporre soluzioni problematizza (qualità molto rara di questi tempi!), si pone cioè in uno spirito di ricerca.


Un suggerimento molto interessante, prezioso per vivere in un mondo complesso in cui spesso le soluzioni già adottate in passato rischiano di essere superate.

Di diventare 'idee perfette'..



Dance Town - di Jeon Kyu-hwan (Corea del Sud)
La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi. (Pier Paolo Pasolini)

Mi è difficile scrivere qualcosa di questo film. Mi ha colpito nel profondo lasciandomi una sensazione complessa da descrivere. Opera essenziale, praticamente minimalista nell'approccio visuale. Riprese girate in digitale con la camera a mano fanno di questo film - terzo di una vera e propria trilogia metropolitana di questo cineasta - quasi un docu-film che racconta, anzi documenta, una quasi-realtà
Un racconto in cui la storia dei personaggi ha una profonda e tragica connessione: quella della Solitudine. La solitudine di Lee Jung-nim che, fuggita da sola dalla Corea del Nord, non riesce a dimenticare il marito e cerca di vivere le briciole di una esistenza da rifugiata. E dei personaggi che incrocia in questa nuova 'vita'. Come Kim Soo-jin, assistente-poliziotta, e il suo deserto di sentimenti e di emozioni, che dovrebbe aiutare Lee ad integrarsi in questa nuova esistenza. In realtà il suo vero compito è quello di spiarla attraverso una telecamera nascosta per sorvegliarla e sventare eventuali complotti con i comunisti. O la desolazione in cui Jina, una adolescente rimasta incinta, cerca un modo per abortire. Molto forte, nel finale, è l'immagine in cui Jina viene letteralmente 'inghiottita' da Seul. Metropoli senz'anima che sembra annullare qualsiasi tentativo di sopravvivenza di chi rimane solo. 
Esistenze che la solitudine rende invisibili e incomprese trasformandole lentamente in corpi senza vita. 

"Chiudi gli occhi.
Vivi in un appartamento. Da solo. Emotivamente, sei del tutto solo. Non hai nessuno da chiamare, nessuno con cui parlare. Nella tua vita non c'è assolutamente nessuno. Adesso è così, e così sarà in futuro. Anche se uscissi, saresti comunque da solo..."
(Esercizio di induzione alla solitudine - Prof. Robert Weiss)



He's a woman she's a man - di Peter Chan (Hong Kong)
Tralasciando i dettagli e i possibili rimandi a precedenti illustri (Tootsie, Victor Victoria..) il film è sinceramente piacevole e in molte occasioni divertente. L'equivoco su cui si costruisce il nucleo del plot riguarda uno dei tre protagonisti - l'adolescente Wing - che per essere accettata ad una audizione per la selezione di un 'ragazzo comune' da lanciare come nuova pop-star decide di travestirsi da ragazzo. Da qui una serie di 'incidenti' imbarazzanti ed esilaranti che punteggiano lo svolgimento della prima parte di questa commedia. Che diventa sottile ironia quando l'autore mette a nudo la fiera delle vanità in cui vive il mondo dello spettacolo. I tre protagonisti (Carina Lau-Rose che interpreta la cantante 'costruita' dal produttore Leslie Cheung-Sam, e Anita Yuen-Wing l'adolescente che si traveste da ragazzo) costruiscono passo dopo passo dei personaggi che riescono, senza facili ammiccamenti, ad attirare l'attenzione dello spettatore. In conclusione di questa mia riflessione post-visione desidero esprimere il mio apprezzamento in modo particolare per Leslie Cheung che riesce ad esprimere con comicità e sensibilità il dilemma sull'identità sessuale che affligge il suo personaggio. Identità sessuale complessa che l'attore ha interpretato più volte nella sua carriera cinematografica: lo ricordiamo, infatti, nei panni del crudele e capriccioso amante che spingeva alla follia il suo compagno in Happy Together di Wong Kar-Wai. Ma non solo. Anche nella sua vita reale Leslie Cheung ha vissuto drammaticamente la sua sessualità (il 1° aprile del 2003 muore suicida). 
Come ci ricorda amaramente Samuel Beckett in Finale di Partita: non c'è niente di più comico dell'infelicità...

The Warlords - di Peter Chan (Hong Kong)
Bellissimo wu-shu movie (film epico) che associa a grandi e violentissime battaglie un notevole lavoro sulla psicologia complessa dei personaggi. 
Chan ci mostra guerrieri - Warlords - innanzitutto come uomini, drammaticamente coinvolti nelle loro ombre, fragilità e ambizioni. Di grande spessore l'interpretazione di Jet Li del generale Pang. 
Altra preziosa perla dell'Asian Film Festival!

domenica 12 giugno 2011

PERHAPS LOVE - di Peter Chan (Hong Kong)

Queste le parole con cui inizia il film di Peter Chan: "La vita è come un film. Ognuno è protagonista del suo proprio film ma qualcuno può essere anche il co-protagonista del film di qualcun altro... A volte si sbaglia il montaggio, oppure si tagliano delle scene che, solo molto più in là, scopriremo essere fondamentali. Che fine facciano quelle scene, se siano solo immagini offuscate di un ricordo lontano o la vera essenza di ciò che si palesa ai nostri occhi, non si può dirlo."

La storia d'amore raccontata in questo film è struggente, drammatica "perchè (come ci suggerisce il regista nelle scene conclusive del film) l'amore permane anche dopo che è passato molto tempo... perchè così è l'amore". 

Diverse sono le citazioni che possiamo scorgere nella trama-figura di questo bellissimo film: dalle atmosfere musicali di Moulin Rouge di Baz Luhrmann, alla scena-icona del film Ethernal Sunshine of Spotless Mind di Michael Gondry dove i due protagonisti sono sdraiati sul ghiaccio. 

Molte sono le immagini-quadro che rimangono impresse nella memoria emotiva dello spettatore. 
Come quella in cui Lin, immerso nell'acqua, è nel confine indistinto tra ricordi e realtà, tra odio e desiderio di vendetta e amore travolgente per Sun. 
O come la scena del registratore, unico testimone-feticcio della disperazione e del senso di abbandono di Lin. 
E il capolavoro per tecnica e immaginazione creativa di Chan rappresentato dalla scena della lacrima contre-plongée, descritta molto bene dal blogger Pierre Hombrebuoeno: "non ricordo di aver mai visto in vita mia una lacrima immortalata contre-plongée (inquadratura dove la macchina da presa è riposta verticalmente in basso) , è un'aggressione del dolore verso la macchina da presa (e quindi verso il quadro e gli spettatori), lacrime che come gocce di pioggia bagnano lo spettatore condividendo con loro la propria tristezza." 
Questa la 'figura', ovvero ciò che guida l'attenzione e la percezione cosciente dello spettatore. 
E lo 'sfondo'...? 
E' la musica. Le bellissime canzoni da opera-pop che completano e valorizzano le immagini, organizzandole in un 'insieme significativo', una gestalt. E non è un caso che dopo il rientro a casa, nel cuore della notte quelle immagini e quella musica continuavano a girare, a connettersi con altre immagini, emozioni, sensazioni... ma questa è un'altra storia. La mia storia.