giovedì 29 settembre 2011

Viaggio negli abissi della comunicazione

Rieccomi dopo un po' di silenzio. 
Una recente conversazione con una amica e la lettura di un articolo questa mattina mi hanno ispirato una riflessione, un viaggio un po' particolare. Gli strumenti essenziali che porto con me sono tre 'chiavi' (di lettura). La prima è una chiave linguistica, la seconda antropologica e la terza neuroscientifica. Ora sono pronto per partire..

Cominciamo come ha fatto Lera Boroditsky, ricercatrice della Stanford University, ponendoci la seguente domanda: 
Le stesse parole possono influenzare in modo diverso parlanti di madrelingua differenti? 
La risposta sembra essere affermativa. Da recenti ricerche sembra, infatti, che la lingua-madre può influire in modo significativo sul modo in cui percepiamo qualcosa e sulla precisione con la quale ricordiamo.
La Boroditsky con il suo staff ha condotto numerosi esperimenti cercando di comprendere come la designazione di uno stesso evento in lingue differenti può modificare il modo in cui lo pensiamo e lo percepiamo. 
Consideriamo alcuni esempi che riguardano concetti relativi alle direzioni e alle relazioni spaziali.
Tra i Kuuk Thaayorre (popolo aborigeno del nord Australia) non si indicano le posizioni spaziali (destra, sinistra, avanti indietro) in senso relativo rispetto a chi parla, ma si fa riferimento esclusivamente ai punti cardinali (nord, sud, est, ovest). Questo consente loro di orientarsi in ambienti sconosciuti o all'interno di abitazioni in cui non sono mai stati prima e di indicare con precisione dove si trovano. Per fare un esempio, se a tavola chiedete il sale e il vostro interlocutore (Thaayorre) non riesce ad individuarlo, potreste aiutarlo suggerendogli che si trova a 'sud-ovest'.  
Consideriamo un altro esempio. Gli indios Piraha dell'amazzonia sono un popolo molto particolare e il loro linguaggio non può essere paragonato a nessun'altra lingua. Nel loro linguaggio non è possibile esprimere qualcosa che va al di là della loro esperienza personale. Ogni racconto, conversazione, deve essere connotata da ciò che hanno sperimentato personalmente oppure da qualcuno che conoscono. Per augurare la "buona notte", concetto troppo astratto per i Piraha, ad esempio dicono: "Non dormire, ci sono serpenti."
La domanda è allora: il linguaggio può aver forzato alcune abilità mentali di questi aborigeni? La risposta sembra essere affermativa. 
Proviamo ad allargare il nostro campo di indagine non limitandoci solo a popolazioni così lontane da noi. Differenze di genere possono influenzare in modo diverso parlanti di lingue a noi molto vicine. I tedeschi attribuiscono un genere grammaticale anche a oggetti inanimati come un ponte. In tedesco ponte si dice "die Brucke", al femminile. Questo comporta che i tedeschi descrivono automaticamente  un ponte con attributi femminili (es. elegante, sottile snello, grazioso..). In spagnolo e in italiano si dice rispettivamente "el puente" e "il ponte" e ovviamente ad esso associamo attributi maschili come robusto, solido, ecc.  Un semplice articolo grammaticale può perciò influire sulla rappresentazione dell'oggetto da parte del parlante e tutto ciò in modo automatico ed inconsapevole. 
Boroditsky e altri studiosi, a differenza del noto linguista Noam Chomsky, secondo cui gli esseri umani sono accomunati dalla medesima struttura mentale indipendentemente dalla loro lingua-madre, credono quindi che lingua e pensiero non siano affatto indipendenti, anzi li considerano strettamente connessi. Secondo loro per cambiare il modo in cui pensiamo ad un oggetto o un evento è sufficiente una scelta diversa delle parole utilizzate per descriverlo.

Ma la complessità del nostro viaggio non finisce qui...



Passiamo ora a riflettere su un secondo interrogativo: La stessa parola può suscitare differenti reazioni-emozioni in soggetti che parlano la stessa lingua?
Le ricerche in ambito neuroscientifico del prof. Jerome Liss, fondatore della Società Italiana di Biosistemica, ci forniscono interessanti suggerimenti per provare a rispondere a questa domanda. Leggendo un suo recente articolo (La differenza profonda fra Sé e l'Altro: Comunicazione, Emozione, Storia e Sé-Altro) la relazione tra persone ci rimanda all'immagine dell' iceberg in cui sotto la parte emersa (la comunicazione, ad esempio) si trovano diversi 'strati sommersi'. Per Liss nella relazione possiamo individuare, infatti, quattro dimensioni: Comunicazione, Emozione, Storia e Sè e Altro.
Di questi livelli, strati, la Comunicazione è quello più visibile, quello di cui facciamo più direttamente esperienza. A volte accade che nonostante l'intenzione di chi emette un messaggio sia positiva l'impatto per l'Altro, chi lo riceve, è inaspettatamente negativo (esempio: rifiuto, silenzio, protesta..). "Non ho tempo adesso. Possiamo parlare più tardi?" (intenzione: desidero ascoltare con attenzione ciò che hai da dirmi; più tardi posso dedicarmi a te). Risposta: "Lascia perdere... farò da sola." (impatto: non sono abbastanza importante per lui). Fermarci alle sole parole potrebbe, quindi, non bastare. Cosa è successo..?!?

Proviamo a procedere nel nostro viaggio nelle profondità della relazione.
Associate alle parole che ascoltiamo quando siamo immersi in una conversazione ci sono, ad un livello più profondo, le Emozioni: irritazione, entusiasmo, paura, protesta... Spesso queste emozioni non sono completamente manifeste, visibili all'esterno e, a volte, anche la persona stessa che le sta provando non ne è completamente consapevole. Come conseguenza può accadere che tra il 'messaggio-dato' e il 'messaggio-ricevuto' si crei un divario, un solco profondo, dovuto proprio alle emozioni che si stanno agitando nei soggetti coinvolti nello scambio. Proprio come accade nello scambio tra due coniugi descritto nel libro di R. Laing Mi ami?:
LUI - non ti sento
LEI - non mi ascolti
LUI - sto cercando di farlo
LEI - grazie per lo sforzo!
LUI - stavo cercando di accertare se ti avevo sentita
LEI - non mi va di essere accertata!
LUI - va bene
LEI - non va affatto bene.

..........


Uhm...

A questo punto del nostro viaggio immaginario incontriamo un'altra dimensione: la Storia dei soggetti. Qui troviamo tracce profonde lasciate dalla qualità delle relazioni vissute all'interno della famiglia, dalla personalità dei familiari, dalla loro cultura, dalla loro 'mappa del mondo', dai loro 'miti'.. Proviamo a vedere in che modo può incidere la storia personale all'interno, ad esempio, di una coppia. L'aspettativa, la premessa implicita, riguardo a "che cosa fa il marito e che cosa fa la moglie" può innescare conflitti se uno dei due partner (spesso il marito) aderisce ad un modello tradizionale ("un uomo a casa mia non fa queste cose..") mentre l'altro (la moglie) vive ambizioni e desideri di affermazione personale che richiedono di dedicare più tempo, ad esempio, alla carriera e quindi di passare meno tempo in casa ("non ho certo studiato tutti questi anni per fare la casalinga...!").

Uhm...uhm...

Nell'ultima tappa del nostro viaggio (per ora; chissà che nel futuro non riusciremo a spingerci più in là...) entriamo in un altro territorio quello della relazione Sè-Altro. Grazie alla ricerca di un altro neuroscienziato, Luis Cozolino, sappiamo che l'esigenza di fidarci degli altri trova un suo fondamento nella neurofisiologia sottocorticale profonda del cervello umano. Per fare un esempio può accadere, come ci spiega Liss, che una persona può avere una struttura Sé-Altro in cui c'è molto contatto, mentre un'altra può percepire questo livello di contatto eccessivo o addirittura invasivo ("sinceramente il fatto che tu mi stia sempre addosso lo trovo insopportabile...mi soffoca!). Il divario, la differenza (direbbe Bateson..) in questa dimensione della relazione può risultare perciò enorme e le 'cause' quasi sempre inaccessibili in quanto si perdono nel tempo (esperienze perinatali, infanzia..).

Essere consapevoli di questa complessità ci può aiutare vivere in modo diverso queste differenze, può porci in una condizione riflessiva, o come dice Maurizio Stupiggia (psicoterapeuta e direttore della Società Italiana di Biosistemica) di ricerca di una "finestra di tolleranza" sufficientemente spaziosa per chi vi si affaccia..
Forse così possiamo evitare di finire nel vicolo cieco dell'"Io ho ragione e l'altro ha torto!" e, ritornando alla nostra coppia, pensare: "Comprendo che il suo modo di vivere e manifestare il suo amore per me è avere tutte queste attenzioni e essere il più possibile accanto a me...la sua famiglia è diversa dalla mia. Posso provare a parlare con lui di questo e chissà che riusciamo a trovare un modo di stare insieme che rispetti entrambi..".

Fonti:
Articolo "Pensieri e parole" di K. Wilhelm, Mente e Cervello, ottobre 2011
Articolo "La differenza profonda fra Sé e l'Altro: Comunicazione, Emozione, Storia e Sé-Altro" di J. Liss, http://www.biosistemica.org/articoli/differenze-se-altro.pdf
Articolo "Non dormire, ci sono serpenti. Ovvero, buona notte" di S. Zarbock
"Mi Ami?", di R. Laing, Einaudi
"Il cervello sociale", di L. Cozolino, Raffaello Cortina Editore