giovedì 29 settembre 2011

Viaggio negli abissi della comunicazione

Rieccomi dopo un po' di silenzio. 
Una recente conversazione con una amica e la lettura di un articolo questa mattina mi hanno ispirato una riflessione, un viaggio un po' particolare. Gli strumenti essenziali che porto con me sono tre 'chiavi' (di lettura). La prima è una chiave linguistica, la seconda antropologica e la terza neuroscientifica. Ora sono pronto per partire..

Cominciamo come ha fatto Lera Boroditsky, ricercatrice della Stanford University, ponendoci la seguente domanda: 
Le stesse parole possono influenzare in modo diverso parlanti di madrelingua differenti? 
La risposta sembra essere affermativa. Da recenti ricerche sembra, infatti, che la lingua-madre può influire in modo significativo sul modo in cui percepiamo qualcosa e sulla precisione con la quale ricordiamo.
La Boroditsky con il suo staff ha condotto numerosi esperimenti cercando di comprendere come la designazione di uno stesso evento in lingue differenti può modificare il modo in cui lo pensiamo e lo percepiamo. 
Consideriamo alcuni esempi che riguardano concetti relativi alle direzioni e alle relazioni spaziali.
Tra i Kuuk Thaayorre (popolo aborigeno del nord Australia) non si indicano le posizioni spaziali (destra, sinistra, avanti indietro) in senso relativo rispetto a chi parla, ma si fa riferimento esclusivamente ai punti cardinali (nord, sud, est, ovest). Questo consente loro di orientarsi in ambienti sconosciuti o all'interno di abitazioni in cui non sono mai stati prima e di indicare con precisione dove si trovano. Per fare un esempio, se a tavola chiedete il sale e il vostro interlocutore (Thaayorre) non riesce ad individuarlo, potreste aiutarlo suggerendogli che si trova a 'sud-ovest'.  
Consideriamo un altro esempio. Gli indios Piraha dell'amazzonia sono un popolo molto particolare e il loro linguaggio non può essere paragonato a nessun'altra lingua. Nel loro linguaggio non è possibile esprimere qualcosa che va al di là della loro esperienza personale. Ogni racconto, conversazione, deve essere connotata da ciò che hanno sperimentato personalmente oppure da qualcuno che conoscono. Per augurare la "buona notte", concetto troppo astratto per i Piraha, ad esempio dicono: "Non dormire, ci sono serpenti."
La domanda è allora: il linguaggio può aver forzato alcune abilità mentali di questi aborigeni? La risposta sembra essere affermativa. 
Proviamo ad allargare il nostro campo di indagine non limitandoci solo a popolazioni così lontane da noi. Differenze di genere possono influenzare in modo diverso parlanti di lingue a noi molto vicine. I tedeschi attribuiscono un genere grammaticale anche a oggetti inanimati come un ponte. In tedesco ponte si dice "die Brucke", al femminile. Questo comporta che i tedeschi descrivono automaticamente  un ponte con attributi femminili (es. elegante, sottile snello, grazioso..). In spagnolo e in italiano si dice rispettivamente "el puente" e "il ponte" e ovviamente ad esso associamo attributi maschili come robusto, solido, ecc.  Un semplice articolo grammaticale può perciò influire sulla rappresentazione dell'oggetto da parte del parlante e tutto ciò in modo automatico ed inconsapevole. 
Boroditsky e altri studiosi, a differenza del noto linguista Noam Chomsky, secondo cui gli esseri umani sono accomunati dalla medesima struttura mentale indipendentemente dalla loro lingua-madre, credono quindi che lingua e pensiero non siano affatto indipendenti, anzi li considerano strettamente connessi. Secondo loro per cambiare il modo in cui pensiamo ad un oggetto o un evento è sufficiente una scelta diversa delle parole utilizzate per descriverlo.

Ma la complessità del nostro viaggio non finisce qui...



Passiamo ora a riflettere su un secondo interrogativo: La stessa parola può suscitare differenti reazioni-emozioni in soggetti che parlano la stessa lingua?
Le ricerche in ambito neuroscientifico del prof. Jerome Liss, fondatore della Società Italiana di Biosistemica, ci forniscono interessanti suggerimenti per provare a rispondere a questa domanda. Leggendo un suo recente articolo (La differenza profonda fra Sé e l'Altro: Comunicazione, Emozione, Storia e Sé-Altro) la relazione tra persone ci rimanda all'immagine dell' iceberg in cui sotto la parte emersa (la comunicazione, ad esempio) si trovano diversi 'strati sommersi'. Per Liss nella relazione possiamo individuare, infatti, quattro dimensioni: Comunicazione, Emozione, Storia e Sè e Altro.
Di questi livelli, strati, la Comunicazione è quello più visibile, quello di cui facciamo più direttamente esperienza. A volte accade che nonostante l'intenzione di chi emette un messaggio sia positiva l'impatto per l'Altro, chi lo riceve, è inaspettatamente negativo (esempio: rifiuto, silenzio, protesta..). "Non ho tempo adesso. Possiamo parlare più tardi?" (intenzione: desidero ascoltare con attenzione ciò che hai da dirmi; più tardi posso dedicarmi a te). Risposta: "Lascia perdere... farò da sola." (impatto: non sono abbastanza importante per lui). Fermarci alle sole parole potrebbe, quindi, non bastare. Cosa è successo..?!?

Proviamo a procedere nel nostro viaggio nelle profondità della relazione.
Associate alle parole che ascoltiamo quando siamo immersi in una conversazione ci sono, ad un livello più profondo, le Emozioni: irritazione, entusiasmo, paura, protesta... Spesso queste emozioni non sono completamente manifeste, visibili all'esterno e, a volte, anche la persona stessa che le sta provando non ne è completamente consapevole. Come conseguenza può accadere che tra il 'messaggio-dato' e il 'messaggio-ricevuto' si crei un divario, un solco profondo, dovuto proprio alle emozioni che si stanno agitando nei soggetti coinvolti nello scambio. Proprio come accade nello scambio tra due coniugi descritto nel libro di R. Laing Mi ami?:
LUI - non ti sento
LEI - non mi ascolti
LUI - sto cercando di farlo
LEI - grazie per lo sforzo!
LUI - stavo cercando di accertare se ti avevo sentita
LEI - non mi va di essere accertata!
LUI - va bene
LEI - non va affatto bene.

..........


Uhm...

A questo punto del nostro viaggio immaginario incontriamo un'altra dimensione: la Storia dei soggetti. Qui troviamo tracce profonde lasciate dalla qualità delle relazioni vissute all'interno della famiglia, dalla personalità dei familiari, dalla loro cultura, dalla loro 'mappa del mondo', dai loro 'miti'.. Proviamo a vedere in che modo può incidere la storia personale all'interno, ad esempio, di una coppia. L'aspettativa, la premessa implicita, riguardo a "che cosa fa il marito e che cosa fa la moglie" può innescare conflitti se uno dei due partner (spesso il marito) aderisce ad un modello tradizionale ("un uomo a casa mia non fa queste cose..") mentre l'altro (la moglie) vive ambizioni e desideri di affermazione personale che richiedono di dedicare più tempo, ad esempio, alla carriera e quindi di passare meno tempo in casa ("non ho certo studiato tutti questi anni per fare la casalinga...!").

Uhm...uhm...

Nell'ultima tappa del nostro viaggio (per ora; chissà che nel futuro non riusciremo a spingerci più in là...) entriamo in un altro territorio quello della relazione Sè-Altro. Grazie alla ricerca di un altro neuroscienziato, Luis Cozolino, sappiamo che l'esigenza di fidarci degli altri trova un suo fondamento nella neurofisiologia sottocorticale profonda del cervello umano. Per fare un esempio può accadere, come ci spiega Liss, che una persona può avere una struttura Sé-Altro in cui c'è molto contatto, mentre un'altra può percepire questo livello di contatto eccessivo o addirittura invasivo ("sinceramente il fatto che tu mi stia sempre addosso lo trovo insopportabile...mi soffoca!). Il divario, la differenza (direbbe Bateson..) in questa dimensione della relazione può risultare perciò enorme e le 'cause' quasi sempre inaccessibili in quanto si perdono nel tempo (esperienze perinatali, infanzia..).

Essere consapevoli di questa complessità ci può aiutare vivere in modo diverso queste differenze, può porci in una condizione riflessiva, o come dice Maurizio Stupiggia (psicoterapeuta e direttore della Società Italiana di Biosistemica) di ricerca di una "finestra di tolleranza" sufficientemente spaziosa per chi vi si affaccia..
Forse così possiamo evitare di finire nel vicolo cieco dell'"Io ho ragione e l'altro ha torto!" e, ritornando alla nostra coppia, pensare: "Comprendo che il suo modo di vivere e manifestare il suo amore per me è avere tutte queste attenzioni e essere il più possibile accanto a me...la sua famiglia è diversa dalla mia. Posso provare a parlare con lui di questo e chissà che riusciamo a trovare un modo di stare insieme che rispetti entrambi..".

Fonti:
Articolo "Pensieri e parole" di K. Wilhelm, Mente e Cervello, ottobre 2011
Articolo "La differenza profonda fra Sé e l'Altro: Comunicazione, Emozione, Storia e Sé-Altro" di J. Liss, http://www.biosistemica.org/articoli/differenze-se-altro.pdf
Articolo "Non dormire, ci sono serpenti. Ovvero, buona notte" di S. Zarbock
"Mi Ami?", di R. Laing, Einaudi
"Il cervello sociale", di L. Cozolino, Raffaello Cortina Editore


giovedì 16 giugno 2011

Asian Film Festival: giro di boa..

Three: Going Home - di Peter Chan (Hong Kong)

Non sai mai quello che sta per succedere.. 
E' la sensazione che ho provato guardando questo thriller drammatico (anche se è difficile classificarlo). Ancora una volta Peter Chan si dimostra un cineasta versatile, raffinato, capace di pardoneggiare linguaggi cinematografici diversi (drammatico, epic movie, commedia, thriller..) e metriche differenti (lungometraggi e, come in questo caso, corto-mediometraggio), con competenza ed equilibrio. Equilibrio anche per l'abilità con la quale sceglie le tecniche di ripresa: velocizzazioni degli spazi, profondità di campo, messa a fuoco e sfocato.
Una riflessione a parte merita la fotografia. L'assenza assoluta di tonalità calde, la dominante scuro-verdastro, il controluce di alcune scene, valorizzano ulteriormente l'atmosfera di ansia e agoscia della narrazione. Anzi no. Un colore caldo c'è, l'unico. Il cappottino rosso della bambina-fantasma (e il ricordo va subito ad un altro capolavoro, Schindler's List, il cui unico colore era, anche in questo caso, il cappottino rosso di una bimba..). 
E non passa sicuramente inosservato il fatto che in questo film non c'è traccia di effetti speciali. Come direbbe il mio amico Salvo è stato girato "a mani nude"..!
Ho apprezzato molto anche la capacità del regista di spostare il punto di vista dello spettatore da quello dei personaggi adulti a quello del bambino. Posizione privilegiata questa da cui assistere alle scene che suscitano maggiore tensione e angoscia.

Dopo la visione di questo entusiasmante film (della durata di 61 minuti) la sensazione che ho provato è stata esattamente di equilibrio, di giusto tempo. Non un minuto in meno, non un minuto in più.

"La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana." (Alfred Hitchcock)

Esattamente cosi... posso garantirlo!

martedì 14 giugno 2011

Asian Film Festival: quasi una maratona!




All About love - di Ann Hui (Hong Kong)


Una commedia che diverte per l'originalità della storia e per la rottura degli schemi sessuali che, in modo ironico e sofisticato, questo film suggerisce. Altro aspetto che ho apprezzato di questa cineasta è la capacità di spostarsi nei vari punti di vista  (femminile, maschile - etero, gay) senza schierarsi completamente con alcuno di questi. Multiparziale l'avrebbe probabilmente definita il famoso psicoterapeuta Luigi Boscolo. Come multiparziale è stato lo sguardo della regista nei confronti dei modelli familiari nei quali i personaggi del film cercano di trovare una soluzione sostenibile per le loro relazioni.


Un film che più che proporre soluzioni problematizza (qualità molto rara di questi tempi!), si pone cioè in uno spirito di ricerca.


Un suggerimento molto interessante, prezioso per vivere in un mondo complesso in cui spesso le soluzioni già adottate in passato rischiano di essere superate.

Di diventare 'idee perfette'..



Dance Town - di Jeon Kyu-hwan (Corea del Sud)
La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi. (Pier Paolo Pasolini)

Mi è difficile scrivere qualcosa di questo film. Mi ha colpito nel profondo lasciandomi una sensazione complessa da descrivere. Opera essenziale, praticamente minimalista nell'approccio visuale. Riprese girate in digitale con la camera a mano fanno di questo film - terzo di una vera e propria trilogia metropolitana di questo cineasta - quasi un docu-film che racconta, anzi documenta, una quasi-realtà
Un racconto in cui la storia dei personaggi ha una profonda e tragica connessione: quella della Solitudine. La solitudine di Lee Jung-nim che, fuggita da sola dalla Corea del Nord, non riesce a dimenticare il marito e cerca di vivere le briciole di una esistenza da rifugiata. E dei personaggi che incrocia in questa nuova 'vita'. Come Kim Soo-jin, assistente-poliziotta, e il suo deserto di sentimenti e di emozioni, che dovrebbe aiutare Lee ad integrarsi in questa nuova esistenza. In realtà il suo vero compito è quello di spiarla attraverso una telecamera nascosta per sorvegliarla e sventare eventuali complotti con i comunisti. O la desolazione in cui Jina, una adolescente rimasta incinta, cerca un modo per abortire. Molto forte, nel finale, è l'immagine in cui Jina viene letteralmente 'inghiottita' da Seul. Metropoli senz'anima che sembra annullare qualsiasi tentativo di sopravvivenza di chi rimane solo. 
Esistenze che la solitudine rende invisibili e incomprese trasformandole lentamente in corpi senza vita. 

"Chiudi gli occhi.
Vivi in un appartamento. Da solo. Emotivamente, sei del tutto solo. Non hai nessuno da chiamare, nessuno con cui parlare. Nella tua vita non c'è assolutamente nessuno. Adesso è così, e così sarà in futuro. Anche se uscissi, saresti comunque da solo..."
(Esercizio di induzione alla solitudine - Prof. Robert Weiss)



He's a woman she's a man - di Peter Chan (Hong Kong)
Tralasciando i dettagli e i possibili rimandi a precedenti illustri (Tootsie, Victor Victoria..) il film è sinceramente piacevole e in molte occasioni divertente. L'equivoco su cui si costruisce il nucleo del plot riguarda uno dei tre protagonisti - l'adolescente Wing - che per essere accettata ad una audizione per la selezione di un 'ragazzo comune' da lanciare come nuova pop-star decide di travestirsi da ragazzo. Da qui una serie di 'incidenti' imbarazzanti ed esilaranti che punteggiano lo svolgimento della prima parte di questa commedia. Che diventa sottile ironia quando l'autore mette a nudo la fiera delle vanità in cui vive il mondo dello spettacolo. I tre protagonisti (Carina Lau-Rose che interpreta la cantante 'costruita' dal produttore Leslie Cheung-Sam, e Anita Yuen-Wing l'adolescente che si traveste da ragazzo) costruiscono passo dopo passo dei personaggi che riescono, senza facili ammiccamenti, ad attirare l'attenzione dello spettatore. In conclusione di questa mia riflessione post-visione desidero esprimere il mio apprezzamento in modo particolare per Leslie Cheung che riesce ad esprimere con comicità e sensibilità il dilemma sull'identità sessuale che affligge il suo personaggio. Identità sessuale complessa che l'attore ha interpretato più volte nella sua carriera cinematografica: lo ricordiamo, infatti, nei panni del crudele e capriccioso amante che spingeva alla follia il suo compagno in Happy Together di Wong Kar-Wai. Ma non solo. Anche nella sua vita reale Leslie Cheung ha vissuto drammaticamente la sua sessualità (il 1° aprile del 2003 muore suicida). 
Come ci ricorda amaramente Samuel Beckett in Finale di Partita: non c'è niente di più comico dell'infelicità...

The Warlords - di Peter Chan (Hong Kong)
Bellissimo wu-shu movie (film epico) che associa a grandi e violentissime battaglie un notevole lavoro sulla psicologia complessa dei personaggi. 
Chan ci mostra guerrieri - Warlords - innanzitutto come uomini, drammaticamente coinvolti nelle loro ombre, fragilità e ambizioni. Di grande spessore l'interpretazione di Jet Li del generale Pang. 
Altra preziosa perla dell'Asian Film Festival!

domenica 12 giugno 2011

PERHAPS LOVE - di Peter Chan (Hong Kong)

Queste le parole con cui inizia il film di Peter Chan: "La vita è come un film. Ognuno è protagonista del suo proprio film ma qualcuno può essere anche il co-protagonista del film di qualcun altro... A volte si sbaglia il montaggio, oppure si tagliano delle scene che, solo molto più in là, scopriremo essere fondamentali. Che fine facciano quelle scene, se siano solo immagini offuscate di un ricordo lontano o la vera essenza di ciò che si palesa ai nostri occhi, non si può dirlo."

La storia d'amore raccontata in questo film è struggente, drammatica "perchè (come ci suggerisce il regista nelle scene conclusive del film) l'amore permane anche dopo che è passato molto tempo... perchè così è l'amore". 

Diverse sono le citazioni che possiamo scorgere nella trama-figura di questo bellissimo film: dalle atmosfere musicali di Moulin Rouge di Baz Luhrmann, alla scena-icona del film Ethernal Sunshine of Spotless Mind di Michael Gondry dove i due protagonisti sono sdraiati sul ghiaccio. 

Molte sono le immagini-quadro che rimangono impresse nella memoria emotiva dello spettatore. 
Come quella in cui Lin, immerso nell'acqua, è nel confine indistinto tra ricordi e realtà, tra odio e desiderio di vendetta e amore travolgente per Sun. 
O come la scena del registratore, unico testimone-feticcio della disperazione e del senso di abbandono di Lin. 
E il capolavoro per tecnica e immaginazione creativa di Chan rappresentato dalla scena della lacrima contre-plongée, descritta molto bene dal blogger Pierre Hombrebuoeno: "non ricordo di aver mai visto in vita mia una lacrima immortalata contre-plongée (inquadratura dove la macchina da presa è riposta verticalmente in basso) , è un'aggressione del dolore verso la macchina da presa (e quindi verso il quadro e gli spettatori), lacrime che come gocce di pioggia bagnano lo spettatore condividendo con loro la propria tristezza." 
Questa la 'figura', ovvero ciò che guida l'attenzione e la percezione cosciente dello spettatore. 
E lo 'sfondo'...? 
E' la musica. Le bellissime canzoni da opera-pop che completano e valorizzano le immagini, organizzandole in un 'insieme significativo', una gestalt. E non è un caso che dopo il rientro a casa, nel cuore della notte quelle immagini e quella musica continuavano a girare, a connettersi con altre immagini, emozioni, sensazioni... ma questa è un'altra storia. La mia storia.


giovedì 26 maggio 2011

The Tree of Life


 "Ho vissuto per anni nell'attesa di qualcosa. Poi quel qualcosa è divenuto l'attesa!"


Stavo pensando: vorrei scrivere alcune impressioni sul fim "The Tree of Life" che ho visto ieri sera al cinema. 
E' molto difficile descrivere un'opera d'arte. E ancora più difficile descrivere un'opera come questa che tocca il tema della Vita e del suo significato (ma anche questa è una interpretazione e quindi una semplificazione!). Mi rimbalzano nella mente le parole di un grande linguista, Ludwig Wittgenstein, che diceva "Di ciò che non si sa è meglio tacere."  
Mi limito allora a parlare di me.. di ciò che ho provato guardando questa opera di Terrence Mallick. Ero spiazzato dalla densità e dalla rara bellezza delle immagini, della fotografia e dalla scarsità di dialoghi. Immagini che mi hanno fatto vivere questo film come una trama nella quale si intrecciavano tempi multipli: quello degli uomini  e quello del cosmo al quale noi ci affacciamo solo per un brevissimo istante. E ho pensato: che idea geniale per 'parlare' della Vita! (ossia di ciò di cui dovremmo tacere) Utilizzare una analogia tra la Vita  e lo svolgimento di una storia (quella dei personaggi del film), proprio come aveva fatto un grande intellettuale del nostro tempo, Gregory Bateson, nei suoi 'metaloghi'. Immagini che parlano della Vita e della Morte..immagini che rivelano tutta la nostra fragilità di esseri viventi. Ma nello stesso momento mostrano tutta la bellezza e il tessuto, la trama della Vita stessa.
E questo film mi ha fatto pensare ad un'altra 'storia', un'altra opera d'arte.. quella di '2001 Odissea nello Spazio' di Stanley Kubrick. Stessi silenzi, stessa ricerca di una perfezione maniacale nelle immagini, nella fotografia. 
Forse anche Mallick e Kubrick, come me, mentre realizzavano i loro capolavori, pensavano alle parole: "di ciò che non si sa è meglio tacere". Per questi due capolavori forse dovremmo ringraziare anche Wittgenstein!


Concludo con una breve citazione del mio amico Giovanni Spadaccini tratta dalla sua riflessione-recensione di "The tree of life": "La storia da raccontare è una storia che mostra senza dire, che lascia gli occhi liberi di ragionare e di affrancarsi dai concetti. Questa storia è un albero, è un cane che beve in una pozzanghera, un bambino che rompe un vetro. Il cielo, il vento, la fine."  
E per chi desiderasse leggere il testo integrale - cosa che vi suggerisco di fare - lo troverà qui:


http://ilprimoamore.com/testo_2321.html

martedì 3 maggio 2011

I buoni vincono e i cattivi perdono...

...e come sempre l'Inghilterra domina! (tratto dal film V per Vendetta, diretto da James McTeigue)

Leggendo le prime pagine di vari quotidiani, italiani e stranieri, è la morte di Bin Laden la notizia centrale. La morte, anzi la Vendetta sembra essere il rituale liberatorio dalla terribile minaccia del terrorismo. 
Il prof. Jerome Liss ha scritto un articolo molto interessante sulla neurofisiologia della vendetta proprio in riferimento agli avvenimenti dell'attentato alle Torri Gemelle del 2001 (per leggere la versione integrale dell'articolo: http://www.biosistemica.org/neurovend.htm). Liss ci fa riflettere sulle pericolose conseguenze che potrebbero essere innescate quando un ragionamento dogmatico (io ho ragione, tu hai torto) viene effettuato su 'larga scala' (gruppi, etnie, nazioni...). In particolare descrive il tipo di logica che guida le persone in avvenimenti traumatici come questo: la logica "o/o". Qualcuno deve avere ragione e qualcun'altro torto "Noi abbiamo ragione e loro torto! Quello che abbiamo fatto è giustificato. Quello che ci hanno fatto loro è peggio di quanto abbiamo fatto noi!" Entrambe le parti ragionano nello stesso modo e vanno verso una escalation distruttiva. Allo stesso momento, da un punto di vista neurofisiologico, nonostante i pensieri distruttivi le persone si sentono meglio. Liss, infatti, dimostra che le persone nell'agire la vendetta si sentono meglio, si sentono meno umiliate, frustrate, stressate e più consapevoli del da farsi. Spesso pensiamo che le motivazioni principali (se non esclusive) delle guerre sono politiche ed economiche. Ora grazie alle ricerche sulla neurofisiologia del cervello possiamo considerare una ulteriore importante motivazione delle guerre: come dice il prof. Liss "Anche la gente desidera la guerra!"
E quindi dobbiamo rassegnarci ad essere homo homini lupus..?
Forse non è detto...
Proseguendo nella lettura dell'articolo del prof, Liss leggiamo: "Dimostrare che l'attacco aggressivo e la vendetta possono avere origine nello sviluppo della specie registrato nel codice genetico non significa che il comportamento sia inevitabile! Noi abbiamo molte 'inclinazioni' di origine genetica, ovvero tendenze a comportarci in un certo modo. Per esempio la dominanza gerarchica, l'aggressività nei confronti degli stranieri, la paura dell'isolamento e, sul versante positivo, l'empatia e la solidarietà cooperativa.. Ma queste 'inclinazioni' non sono completamente automatizzate e quindi non sono del tutto inevitabili come il ritmo cardiaco, la respirazione, la pressione sanguigna.. In conclusione, anche se possiamo dimostrare una base genetica e fisiologica della vendetta, non è detta l'ultima parola. Le emozioni e la strategie della vendetta possono essere modificate." E conclude: "In sintesi, i processi neurofisiologici del cervello e del corpo umano ci stimolano a un’azione vigorosa, per restituire il colpo quando siamo oggetto di minaccia e aggressione fisica. Questo accade a livello individuale, ma anche all’interno di una comunità, nazione o gruppo religioso internazionale. Il cervello di ognuno va in tilt quando una notizia di distruzione ci bombarda per mezzo della televisione e dei giornali. Diventare consapevoli della nostra inclinazione neurofisiologica alla vendetta potrebbe aiutarci a capire meglio le complessità del nostro dilemma e al tempo stesso mobilitare ulteriormente la nostra determinazione a difendere il nostro pianeta e tutti i suoi popoli."

Tutto cio mi ricorda anche un altro Maestro, un grande 'esperto' di vendetta e di emozioni violente: William Shakespeare. "Nulla si è ottenuto, tutto è sprecato, quando il nostro desiderio è appagato senza gioia. Meglio essere ciò che distruggiamo che inseguire con la distruzione una dubbiosa gioia. (Lady Macbeth atto III, scena II).
E un film, il film per eccellenza sulla Vendetta, V per Vendetta: "Alcuni vorranno toglierci la sicura, sospetto che in questo momento stiano strillando ordini al telefono e che presto arriveranno gli uomini armati. Perché? Perché, mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e per coloro che vorranno ascoltare, all'affermazione della verità. E la verità è che c'è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese. Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione. E lì dove una volta c'era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi costringono ad accondiscendere a ciò. Com'è accaduto? Di chi è la colpa? Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole.. non c'è che da guardarsi allo specchio..." 
"Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto. È il principio fondamentale dell'universo: a ogni azione corrisponde una reazione uguale contraria."

Buona Vendetta a tutti...

venerdì 15 aprile 2011

NAUFRAGI

Questa mattina svegliandomi il mio pensiero va a chi fugge la disperazione e l'orrore della guerra in cerca una speranza.
Dedico a loro questi bellissimi versi di Emily Dickinson.

"Tre volte al mio respiro dissi addio
e per tre volte non mi volle lasciare,
ma restò ad agitare il debole ventaglio
che l'acqua si sforzava di fermare.
Per tre volte le onde mi sospinsero in alto,
mi ripresero, poi come una palla,
fecero smorfie azzurre sulla mia
faccia, e lontano spinsero una vela
che strisciava, distante qualche lega,
ed amavo vederla, pensando, nella morte,
com'era bello osservare quel punto
dov'eran volti umani.
Si fece sonnolenta l'onda, non il respiro.
Si cullavano i venti come bimbi,
e poi il sole baciò la mia crisalide
ed io mi alzai per vivere."
(E. Dickinson)