venerdì 15 aprile 2011

NAUFRAGI

Questa mattina svegliandomi il mio pensiero va a chi fugge la disperazione e l'orrore della guerra in cerca una speranza.
Dedico a loro questi bellissimi versi di Emily Dickinson.

"Tre volte al mio respiro dissi addio
e per tre volte non mi volle lasciare,
ma restò ad agitare il debole ventaglio
che l'acqua si sforzava di fermare.
Per tre volte le onde mi sospinsero in alto,
mi ripresero, poi come una palla,
fecero smorfie azzurre sulla mia
faccia, e lontano spinsero una vela
che strisciava, distante qualche lega,
ed amavo vederla, pensando, nella morte,
com'era bello osservare quel punto
dov'eran volti umani.
Si fece sonnolenta l'onda, non il respiro.
Si cullavano i venti come bimbi,
e poi il sole baciò la mia crisalide
ed io mi alzai per vivere."
(E. Dickinson)

giovedì 7 aprile 2011

TRIBU' INCONTATTATE A RISCHIO DI DECIMAZIONE

Nel mondo esistono più di 100 tribu' incontattate. Quasi tutte rischiano di essere spazzate via dal disboscamento, dalla esplorazione petrolifera, dalla costruzione di dighe idroelettriche e da altri progetti.
Le tribù incontattate hanno basse difese immunitarie verso malattie come l'influenza e il morbillo, e le epidemie provocate dal contatto possono essere devastanti.

”A meno che non sia gestito con straordinaria attenzione, il contatto con questi popoli provoca inevitabilmente lo sterminio di oltre metà dei loro membri. Il fenomeno è stato documentato più e più volte, e perciò è difficile credere che i governi e le compagnie ne siano all’oscuro” ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival. “Se insistono a operare nei territori delle tribù incontattate, è altrettanto difficile capire perché mai loro – e quelli di noi che comprano i loro prodotti – non dovremmo essere giudicati colpevoli delle conseguenze.”

Per leggere il testo integrale di questo documento: http://www.survival.it/notizie/7173

mercoledì 6 aprile 2011

"IO NON SONO SOLO."

Ho letto l'articolo di Immanuel Wallerstein pubblicato su http://fbc.binghamton.edu/commentr.htm (e pubblicato in italiano da Il Manifesto di mercoledì 6 aprile) e ho pensato "Io non sono solo". Non sono il solo a pensare che molte domande andrebbero fatte prima di decidere un intervento così complesso come l'azione militare in Libia.
Wallerstein scrive: "The problem I have with humanitarian intervention is that I'm never sure it is humanitarian. Advocates always point to the cases where such intervention didn't occur, such as Rwanda. But they never look at the cases where it did occur. Yes, in the relatively short run, it can prevent what would otherwise be a slaughter of people. But in the longer run, does it really do this? To prevent Saddam Hussein's short-run slaughters, the United States invaded Iraq. Have fewer people been slaughtered as a result over a ten-year period? It doesn't seem so. Advocates seem to have a quantitative criterion. If a government kills ten protestors, this is "normal" if perhaps worthy of verbal criticism. If it kills 10,000, this is criminal, and requires humanitarian intervention. How many people have to be killed before what is normal becomes criminal? 100, 1000?"
E più avanti scrive: "Oggi, le potenze occidentali si sono lanciate nella guerra libica dall'esito incerto. Probabilmente sarà un pantano. Ma riuscirà a distrarre il mondo dalla rivolta araba in corso? Forse. Riuscirà a cacciare Gheddafi? Forse. Se Gheddafi se ne andrà, cosa verrà dopo? Persino i portavoce statunitensi temono che possa essere sostituito dalla sua cricca o da al-Qaeda, o da entrambi."

Wallerstein, come me si pone e pone domande, problematizza e cerca di riflettere sui 'vantaggi e gli svantaggi', sulle possibili conseguenze di azioni così complesse e molto spesso irreversibili.
Come la scelta del nucleare come fonte di energia. In questo caso possiamo provare a fare (e farci!) domande, a problematizzare, prima di vivere le conseguenze, in questo caso irreversibili, di un progetto così potenzialmente rischioso. Non siamo già al 'dopo' ma abbiamo ancora un po' di tempo per riflettere, per informarci, per discutere. E per decidere.
Siamo sicuri che il nucleare è veramente l'unica opzione possibile per noi?
Quali altre possibilità abbiamo? Quali sono le fonti di energia alternative al nucleare che possiamo concretamente considerare?
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di queste rispetto alla opzione nucleare?
Quale scelta è veramente sostenibile... per noi e per chi ci sarà dopo di noi?
Credo che possiamo e dobbiamo riflettere considerando anche questo punto di vista: come ci fa sentire prendere una decisione così importante e irreversibile nei confronti di chi verrà dopo di noi?

Domande fondamentali, riflessioni esistenziali che devono necessariamente essere al centro del dibattito e della decisione se orientarsi verso il nucleare oppure considerare altre fonti energetiche.
Perchè NON SIAMO SOLI.